Cuore & Batticuore
Rubrica settimanale di posta. Sentimenti passioni amori e disamori. Storie di vita e vicende vissute
By Pinkie
Esiste un termine della lingua inglese che ha racchiuso tutto il modo di essere della vita di John McCain: maverick, letteralmente who prefers to do things his own way, uno che preferisce fare le cose a modo suo, scegliendo di vivere con le proprie regole e il proprio senso dell’onore, un anticonformista nel senso vero del concetto, non necessariamente un vincente, almeno nel significato conformista dell’idea.
E’ stato comunque, un uomo di grande spessore, nato in una famiglia yankee di militari, eroe del Vietnam e oggetto di quel disprezzo volgare di chi negli anni della Nam-war, una autentica tragedia della hubris americana, la tracotanza americana, che ha partorito più di cinquantamila ragazzi morti in cambio di una sconfitta, era riuscito ad imboscarsi inventando patologie e sindromi furbe, spesso a pagamento.
Al contrario di altri inquilini illustri della Casa Bianca, Mc Cain è partito per il Vietnam, è stato colpito in volo nel cielo di Hanoi nel 1967 ed è stato sei anni in balia dell’isolamento e delle torture di prigionia dei vietnamiti, tornando nel 1973 con tutti i capelli bianchi, le braccia talmente logorate dalle posizioni di tortura da non poter sollevare le mani all’altezza della testa ed il senso delle istituzioni rinforzato.
Il ragazzone americano biondo in tuta da pilota era invecchiato di colpo, rientrava a combattere altre battaglie con l’orgoglio e la testardaggine di chi è convinto che ”God bless America, my home sweet home…” per diventare un politico profondamente onesto e coerente con il “suo” autentico American Dream.
Contrario a tutti i sistemi di tortura ed accanito fautore della riforma sanitaria democratica dell’Obamacare, nonostante la matrice di una linea politica totalmente differente, non avrebbe mai potuto condividere – fin dal senso profondo dell’esistenza – certe forme imbonitrici, guascone e conformiste della way of life pubblica e privata di Donald Trump, fino a dichiararlo presenza non gradita ai propri funerali, dopo l’ultimo schiaffo della vita: un glioblastoma diagnosticato nel luglio dello scorso anno.
Ha scritto non a caso in “The restless wave” , “L’onda senza soste”, che il mondo è un bel posto per cui vale la pena combattere, in cui vivere abissi di esaltazione e disperazione, di solitudine e compagnia di eroi, combattendo in una guerra e imparando a supportare la pace, sempre.
E poi ha capito che era arrivato il momento di un ultimo gesto da cane sciolto e uomo libero: ha scelto di morire senza il maquillage di altre cure palliative e in due giorni soli l’America si è svegliata senza un simbolo dei valori autentici, vissuti – anche se non condivisi – con stile e coerenza: un maverick è come il vento, resta sulla pelle e nell’anima.
Non soltanto un eroe americano, ma un esempio per tutti coloro che credono e vivono per un mondo di ideali di libertà e giustizia.