Chi arriverà per primo sull’altra faccia della luna? La domanda, ammiccante e cifrata, negli ambienti giudiziari rende l’idea degli sviluppi investigativi delle inchieste sulle stragi di cosa nostra e sul ruolo chiave dei fratelli capimafia Filippo e Giuseppe Graviano.
Sono tre le procure distrettuali antimafia, Firenze, Palermo e Caltanissetta, che sarebbero alla vigilia di una svolta per venire a capo su quello che si delinea sempre più come il culmine di un tentativo di colpo di stato mafioso.
Un golpe criminale avviato con l’assassinio del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, del segretario regionale del Pci Pio La Torre, del Generale Prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, dei vertici della magistratura siciliana: il Procuratore di Palermo Gaetano Costa, il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, il Presidente della Corte d’Assise Antonino Saetta, degli investigatori Giuseppe Russo, Emanuele Basile, Mario D’Aleo, Ninni Cassarà, Boris Giuliano, Nino Agostino, dei giornalisti Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Peppino Impastato, Giuseppe Fava, Beppe Alfano per citarne soltanto alcuniUn tentativo di colpo di stato che raggiunge il culmine con il massacro nel 1992 di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e dei loro otto agenti di scorta e che prosegue poi con gli attentati del 1993 ai Georgofili di Firenze (5 vittime), in via Palestro a Milano (5 vittime) e a San Giorgio al Velabro a Roma, ed ancora con l’auto bomba fatta esplodere in via Fauro, a Roma, ed il fallito attentato contro un intero reparto con oltre un centinaio di Carabinieri in servizio allo stadio Olimpico.
Giudiziariamente, in relazione alle stragi di mafia, l’altra faccia della luna rappresenta la metafora di tutto il molto che c’è da scoprire sui retroscena e sulle verità fino adesso inconfessabili della storia recente del nostro Paese. Una storia ancora senza verità e giustizia, che pregiudica la credibilità della democrazia in Italia.
Da una parte e dall’altra per l’allunaggio e la scoperta delle verità fino adesso nascoste sui mandanti e in parte anche sugli esecutori sconosciuti delle stragi di mafia, al centro delle inchieste delle Procure di Firenze, di Caltanissetta e di Palermo vi sono i fratelli capimafia Giuseppe e Filippo Graviano.
Arrestati nel 1994 per l’assassinio del sacerdote antimafia poi proclamato Santo don Pino Puglisi, già condannati a diversi ergastoli ed accusati soprattutto di avere organizzato gli attentati dell’estate del 1993, i Graviano dopo la morte in carcere di Riina e Provenzano sono gli ultimi padrini del vertice di cosa nostra testimoni diretti e protagonisti di tutti i retroscena della tragica storia criminale della mafia siciliana, a partire dal 1976. Cioè dall’epopea delle tv private e degli investimenti in nero a Milano delle cosche palermitane, che riciclavano così i colossali proventi del traffico di droga.
Per i magistrati e per le inchieste in corso, un eventuale pentimento di Giuseppe e Filippo Graviano, più volte ritenuto imminente ma sempre smentito, o meglio rinviato, rappresenterebbe letteralmente lo scoperchiamento del vaso di pandora di cosa nostra. Un evento epocale che confermerebbe la profezia della fine della mafia, teorizzata da anni, come evidenzia la sintesi del post di zerozeronews del 2015
La profezia della fine della mafia
Millenni diversi, due modi di essere: un unico metodo. Buddha e il Papa applicano contro la violenza e mafia l’ identico concetto. Quello della perseveranza.
“Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre non grazie alla sua forza ma alla sua perseveranza” diceva già nel VI secolo a. C. Siddharta, il vero nome di Buddha.
E come un fiume in piena Papa Francesco ripete da giugno 2014 ai mafiosi che sono scomunicati e insiste perché si convertano, si pentano. Scomunica e accorato appello alla conversione che il Pontefice ha gridato in faccia alla camorra e a cosa nostra a domicilio, nelle piazze e per le strade di Napoli, Scampia e Pompei.
Soltanto perseveranza o anche premonizione di una svolta nella lotta contro la mafia, quella di Papa Berboglio?
Nessun riscontro, solo intuizioni e la constatazione che da mesi all’interno delle cosche di cosa nostra si avvertono crescenti scricchiolii e cedimenti.
Parallelamente alla perseveranza del Papa, sottotraccia, è in pieno svolgimento l’azione delle Procure distrettuali antimafia: Firenze, Palermo, Caltanissetta e Catania.
Dalla storia recente della lotta contro la mafia emerge inoltre il determinante impulso che mogli, compagne e figli hanno impresso alla decisione di numerosi padrini di pentirsi e collaborare con la giustizia: da Buscetta a Marino Mannoia, da Leonardo Messina a Calogero Canci, Giuseppe Ferrante, Giuseppe Marchese fino allo stesso Giovanni Brusca, il killer di Giovanni Falcone.
In proposito decisiva potrebbe risultare l’incidenza di Rosalia Galdi, detta Bibiana, consorte di Giuseppe Graviano e di Francesca Buttitta, moglie di Filippo Graviano, l’altro capo dei capi della cosca di Brancaccio.
Due donne, due svolte fino adesso mancate.
Nessuno ci spera, ma anche nessuno dispera…. Bibiana e Francesca rappresentano infatti i principali esempi di consorti di big di cosa nostra che mantengono il tradizionale e rigido assetto di vedove bianche, dedite ai figli e all’assistenza dei mariti condannati all’ergastolo o a lunghe pene detentive.
Ancora cinquantenni i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano sono diventati padri durante la detenzione e, se decidessero di pentirsi, potrebbero rifarsi una vita con i figli che non hanno mai potuto coccolare, visto giocare e studiare.
Filippo e Giuseppe Graviano
Diverse le ipotetiche motivazioni di Marcello Dell’Utri.
L’ex quarantennale alter ego di Silvio Berlusconi per il momento legge libri e tace, ma ha fatto più volte capire che non intende marcire in carcere i agli arresti domiciliari.
Marcello Dell’Utri
Singolari destini incrociati: donne e mariti dalle carriere criminali parallele e talvolta intrecciate, che si ritrovano davanti allo stesso bivio: pentirsi o imputridire dietro le sbarre. Le loro rivelazioni aprirebbero squarci di verità sui misteri di Palermo e d’Italia.
Difficile stabilire chi conosce più segreti e misfatti. L’unica certezza è che si tratta comunque della sconvolgente realtà di un orribile sistema criminale del quale sono stati diversamente coprotagonisti.
Se i Graviano aprissero la diga delle rivelazioni, si spalancherebbe una gigantesca faglia sismica politico – finanziaria, e non solo.
Ancor di più eclatanti è presumibile siano i retroscena ipoteticamente gestiti da Dell’Utri: dai miliardi dei padrini Bontade e Inzerillo all’ascesa del Cavaliere, dall’epopea del biscione al boom elettorale di Forza Italia, fino ai giorni di Palazzo Chigi e al “gioco grande” di gasdotti e oleodotti.
Allucinazioni? Vane speranze ? Ipotesi irrealizzabili? Coscienti o inconsapevoli le donne “grimaldello” sono all’opera. Basta che accennino all’amore per i figli e al loro futuro. Gocce che scavano le rocce.
L’analisi intuitiva parte da una considerazione di base: dopo secoli di obbedienza totale, perinde ac cadaver (con l’insensibilitàdi un cadavere), il ruolo delle donne di mafia si è talmente emancipato da imporsi ai vertici delle cosche.
E come sostiene la sociologa Sally Berger “ il segreto per andare avanti è iniziare“ !