Cuore & Batticuore Rubrica settimanale di posta Storie di vita e vicende vissute
by Italo Giannola
Archiviato il campionato mondiale di calcio e superata la sbornia consumistica del Natale profano, ci si appresta a celebrare gli ultimi scampoli delle festività di fine anno prima di riporre in cantina gli addobbi e i decori tipici delle moderne tradizioni delle feste di fine anno. Plausibilmente, sarà portato in cantina anche il BambinelloGesù che ci ha accompagnato in questo periodo e ha vigilato su di noi.
Secondo una antica tradizione siciliana, la maggior parte delle famiglie possedeva in casa almeno un Bambinello che veniva tramandato di generazione in generazione. Il Bambinello era di norma realizzato in cera secondo le tradizionali tecniche utilizzate dai cosiddetti “cirari”. Secondo l’uso popolare, il Bambinello era adagiato su un cuscino, o posto su un cestino, o custodito in una scarabattola (detta “scaffarrata”) o ancora posto sotto una campana di vetro. Generalmente veniva esposto per tutto l’anno nella camera da letto dei nonni sopra il cassettone. A qualcuno, meno giovane, certamente tornerà alla memoria l’immagine di questi simulacri che si trovavano nelle dimore degli anziani.
Nel periodo natalizio il Bambinello veniva messo in un adatto luogo della casa, in modo che tutti i componenti del nucleo familiare potessero godere della sua protezione. In tal modo era anche possibile che tutti potessero compiere riti propiziatori o consolatori, chiedere grazie trasmettere o mostrare la propria gratitudine per quanto già ricevuto o confidare i propri turbamenti condividere le proprie pene e le proprie angosce.
Nel suo significato ancestrale, il Bambinello rappresentava il Mistero dell’Incarnazione (Dio che si fa bambino), il Dio foriero di amore e di gioia ma era anche metafora di fertilità umiltà e povertà. Ancora oggi, nella Sicilia più profonda, il culto e la devozione per il Divino Infante sono incentrati sull’idea di fecondità e di rinnovamento.
L’arte di modellare la cera d’api è stata legata fin dall’antichità alla raffigurazione di figurine votive, amuleti, talismani, idoli propiziatori, numi tutelari e simili. Per quanto se ne abbiano poche testimonianze, l’impiego della cera per modellare figure era già molto comune presso gli Assiri, i Babilonesi e presso altri popoli del vicino oriente. Cinque millenni prima di Cristo, nell’Antico Egitto, api, miele, cera, erano considerati i punti cardine della preziosità della vita. Da sempre, alla cera è stata attribuita una valenza spirituale ammantata di mistero; spesso, ha assunto il doppio significato di disfacimento/rigenerazione, colore/plasticità, vita/morte (manipolata la cera si trasforma assumendo nuovi aspetti, fondendo e bruciando scompare).
Il carattere votivo e propiziatorio, attribuito ai manufatti in cera, si attestò in epoca cristiana, arricchendosi di nuovi significati simbolici e liturgici. Ne è un esempio il cero pasquale che simboleggia la morte e la Resurrezione del Cristo. Tutti i significati originari sono stati trasmessi dalla tradizione popolare e, ancora oggi, agli oggetti in cera vengono conferiti gli stessi attributi votivi. Il culto delle “Sacre Bambole”, che comprendevano le rappresentazioni del Divino Infante e di Maria Bambina, risale al Medioevo. Vista l’abbondanza di materia prima, in special modo nella Sicilia orientale, è stato fatto ampio uso della cera per realizzare oggetti di culto, manufatti, ex voto ecc. Probabilmente, il carattere sacro e devoto che nel tempo è stato attribuito alle figure di cera si è radicato perché a manipolare la cera e a produrre i relativi ornamenti di corredo erano principalmente appartenenti ad ambienti monastici e claustrali, tradizione che ha contribuito a dare alle opere un prevalente carattere religioso.
In Sicilia il Settecento è stato il secolo di massima diffusione della ceroplastica artistica. In quel periodo la moda sollecitava la committenza a richiedere agli artisti la realizzazione di opere di varia tipologia: ritratti, bassorilievi, decorazioni, composizioni floreali, oggetti di devozione e culto. In quel tempo fiorirono numerosissime botteghe di artisti molte delle quali, a Palermo, furono insediate nei pressi della Chiesa di San Domenico. La produzione più comune fu quella dei Santi, degli ex-voto, dei frutti e dei Bambin Gesù di cera (Bammineddi). I maestri palermitani, che prediligevano la rappresentazione del Bambinello, erano chiamati “bamminiddari”.
Essi diedero il nome alla strada un cui stabilirono le loro botteghe. Ancora oggi nel centro storico di Palermo esiste il toponimo “via dei Bambinai” (in dialetto “e’ bambiniddari”).
Produssero Bambin Gesù, anatomicamente perfetti, in tutte le fogge e pose: in fasce, dormienti, benedicenti, con il cuore in mano, pastori di anime, pescatori di cuori, alloggiati all’interno di cuori o di frutti ecc. Oltre ai Bambinelli vennero prodotti anche personaggi di presepi, figure di santi, fiori, ghirlande frutti.
Il Bambinello, di norma, era ornato con una collana di corallo rosso, simbolo del Sangue del Cristo, che oltre ad avere valore apotropaico dava alla rappresentazione il contemporaneo significato della Redenzione. In alcune rappresentazioni il Divino Infante ha come corredo iconografico i simboli della passione: croci, fruste, scale, martelli, lance, chiodi, corone di spine, colonne, corde ecc.
Molto attivi ed abili nella realizzazione di queste opere furono anche i “cirari” di Sciacca, Mazara, Erice ed Alcamo nella Sicilia occidentale. Si distinsero per le loro capacità artistiche i ceroplasti Messinesi, Siracusani, Netini, Ragusani che, con espressioni stilistiche lievemente diverse da quelle adottate nella Sicilia occidentale, raggiunsero livelli artistici elevatissimi.
A causa della fragilità del materiale, gran parte del patrimonio artistico in cera è andato distrutto e molte delle testimonianze della preziosa produzione siciliana necessiterebbero di accurati restauri.
L’antica tradizione dei “cirari” siciliani si è praticamente interrotta intorno agli anni cinquanta del secolo scorso. Sfortunatamente, la maggior parte degli artisti teneva celati i propri “segreti del mestiere”, le proprie ricette e le tecniche di lavorazione e nessuna testimonianza sulle procedure seguite nelle loro botteghe è stata trasmessa per iscritto.
Disinteresse e declino di quest’arte sono da attribuire a fattori socioeconomici. Al giorno d’oggi, il limitato giro d’affari, gli alti costi di produzione e gli scarsi proventi di tale attività artigianale non consentono una dignitosa sopravvivenza.
Sarebbe importante creare un movimento educativo/divulgativo volto al recupero di un patrimonio culturale ed artistico da tramandare ai posteri.
Assieme al grande spessore umano, il delizioso e inedito reportage dal mondo mistico devozionale dei bambinelli di cera, evidenzia tutta l’innata umiltà dell’autore, lo scienziato biofarmaceutico Italo Giannola, Professore di Chimica Farmaceutica all’Università di Palermo e titolare di alcuni brevetti farmaceutici, come quello sui metodi di preparazione e utilizzazione delle particelle nanometriche. Il Prof. Giannola è infatti uno dei più apprezzati e pluripremiati artisti del settore, con un curriculum espositivo di centinaia di mostre e rassegne diocesane e museali di arte “Sacra et Pretiosa”, ed è da decenni protagonista del vasto e articolato percorso di valorizzazione delle opere d’arte sacra.