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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Qualche lettore meno giovane ricorderà, probabilmente, il romanzo autobiografico Bagheria che Dacia Maraini diede alle stampe nel 1993 e nel quale l’autrice travasò tutta l’amarezza per una cittadina deturpata dalla speculazione edilizia consumata da mafiosi con la complicità degli amministratori locali. Oggi, a trent’anni di distanza, qualche cosa é migliorata, ma le costruzioni abusive – a ridosso delle ville settecentesche e dei preziosi monumenti storici sparsi per il centro abitato – restano intatte a testimoniare che il sistema mafioso, ferito nella sua dimensione militare, permane intoccabile nella sua dimensione politico-affaristica.
Né si può prevedere di meglio sino a quando le istituzioni cittadine saranno condizionate da legislazioni permissive e politiche ecocide a livello sia regionale che nazionale.
Così è andata. Sarebbe potuta andare diversamente? Una pagina dimenticata di storia locale attesta di sì. Infatti nel novembre del 1964 avviene un piccolo miracolo: un democristiano onesto, stanco della politica mafiosa e mafiogena del suo partito, esce dalla Democrazia Cristiana; si candida con una Lista Civica di persone perbene; ottiene 4 consiglieri su 40 e – terzo dopo la DC (18 consiglieri) e il Partito Comunista Italiano (12 consiglieri) – viene designato come sindaco di Bagheria. Dopo alcuni mesi travagliati, il 19 febbraio 1965 il dottor Pietro Belvedere, medico pediatra stimato e amato in paese, legge in Consiglio comunale la ventina di cartelle con cui espone le linee programmatiche di una Giunta inedita (costituita da 2 comunisti, 2 socialisti, 1 indipendente di sinistra, 1 repubblicano, 1 esponente della Lista civica e 1 democristiano dissidente): se la Giunta ottenesse la fiducia, per la prima volta nel dopoguerra la Democrazia Cristiana andrebbe all’opposizione!
Quella ventina di cartelle dattiloscritte, sepolte nell’archivio comunale, sono state oggi ripescate e pubblicate integralmente dal figlio dell’autore, Antonio Belvedere, ne Il discorso del sindaco, Qu-Ba, Bagheria 2024, con Introduzione di Mimmo Aiello e Postfazione di Giuseppe Tornatore.
Sembra il testo di un film di fantapolitica come L’ora legale di Ficarra e Picone (2017). Infatti le “Dichiarazioni programmatiche” sono mille miglia lontane dal linguaggio, vacuamente altisonante, adottato in questo genere di comunicati, nei quali si può parlare di tutto a patto di non sbilanciarsi in niente di concreto, determinato. Al contrario, sembra di ascoltare una perizia medico-legale in cui si espone con sobrietà retorica e completezza analitica la diagnosi dei mali, ma – punto per punto – se ne indica la possibile terapia.
La situazione della città é paralizzata dall’ “immobilismo” causato dal “mancato senso di responsabilità” degli amministratori, condizionati dalla “ingerenza” di poteri esterni ed estranei? Non se ne uscirà “miracolisticamente” ma attivando “una sana, intransigente e disciplinata amministrazione, che per noi rappresenta il programma dei programmi, il punto base di fondamentale importanza attorno al quale tutte le questioni saranno riguardate con la più premurosa cura e la massima vigilanza”.
Su questo solido presupposto sarà possibile affrontare uno per uno i drammatici ritardi di Bagheria: “nettezza urbana ed igiene”; “lavori pubblici” (a cominciare da “un tetto decoroso, rispondente alle indispensabili norme igienico-sanitarie, alle categorie lavoratrici meno abbienti”); “edilizia scolastica” (dal momento che gli edifici “esistenti, di cui alcuni pericolanti e minacciati di crollo e quindi bisognosi di immediate riparazioni, sono assolutamente insufficienti a soddisfare le esigenze di Bagheria”; “ civico mercato ortofrutticolo”; “viabilità cittadina e viabilità rurale”; “rete idrica” e “pubblica illuminazione” ; “cultura e patrimonio artistico” (“la cultura dovrebbe essere la leva motrice e il mastice che unisce tutti i cittadini alla città, nel senso che le varie iniziative, i circoli, la scuola, la biblioteca, formano un assieme corale con la vita produttiva ed economica del nostro attivo ed industre centro”); “piano regolatore” (che, redatto da “urbanisti ed architetti di chiara fama” – di cui vengono indicati i nomi e i cognomi – , stabilisca i “canoni” e i “vincoli” per la costruzione di nuove abitazioni).
Il sindaco qua e là entra in dettagli specifici riguardanti la qualità della vita (“disciplinare il traffico, annullare i rumori, gli urli dei motori, perché rumore, aria viziata, asfalto, mancanza di spazio, sono tutte cose destinate, nonostante i più razionali criteri urbanistici, ad accrescersi e gli effetti sono già dannosi per il nostro fegato, per il nostro cuore e per il nostro sistema nervoso”), ma non perde mai di vista “una visione panoramica d’insieme”: nota infatti come “urbanistica, nettezza urbana ed igiene, cultura, problemi dell’agricoltura e della viabilità rurale, problemi dei giovani e problemi degli uomini più maturi, piano regolatore, assistenza sanitaria, per quanto possano apparire temi distanti l’uno dall’altro, costituiscano gli aspetti plurimi di un unico problema: quello della tutela degli aspetti umani e civili della città di Bagheria”.
Non è, insomma, il discorso di un imbonitore, bensì di un cittadino che conosce pezzo per pezzo la sua comunità ed elenca, in maniera organica, le priorità. E’ l’approccio di buon senso del padre di famiglia, a conferma di ciò che sostiene Hans Jonas: il modello più completo di responsabilità é dato dalle figure dei genitori e dei politici perché entrambi – quando sono all’altezza del compito – si prendono cura di altri esseri che non sono in condizione di potersi aiutare da sé.
Una rivoluzione gentile, ma determinata, come questa prefigurata nel discorso programmatico del sindaco Belvedere, poteva essere permessa? Neppure per un’ora. Infatti, la sera stessa, il consigliere democristiano dissidente (grazie al quale la coalizione aveva raggiunto il quorum risicato di 20 su 40) cambia idea e torna fra le braccia di mamma DC: non sapremo forse mai se per illuminazione divina o per corruzione o per minaccia mafiosa o per altro.
Si ha appena il tempo di varare una Commissione d’inchiesta sui Lavori pubblici che si concluderà circa un anno e mezzo dopo “con una relazione di circa 500 pagine che portò alla incriminazione di alcuni esponenti di spicco dell’Ufficio Tecnico”.
L’avventura del “povero cristiano” che non volle morire democristiano fallì, dunque, miseramente. A perenne monito della difficoltà di agire la buona politica, ma anche a piccolo segno di speranza: se una volta, sia pure per pochi minuti, é avvenuto, potrà qualche altra volta ripetersi. E meno effimeramente.