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Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria

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Rubrica di critica recensioni anticipazioni

I cardini del pensiero Socrate Buddha Confucio Gesù

by Antonio Borgia

Nei processi che le Direzioni Distrettuali Antimafia calabresi hanno istruito contro la ‘ndrangheta negli ultimi anni si é accentrata l’attenzione su un argomento particolare: quello dei legami fra la più potente organizzazione criminale italiana e la quota di massoneria, comunemente definita “deviata”, in grado di interagire efficacemente nella progettazione e realizzazione di attività illecite sia nella regione che nel resto del territorio nazionale.

Tutti gli esperti sono concordi nel ritenere che tale situazione costituisca un unicum a livello europeo.

Come si è arrivati a questo inaccettabile quadro complessivo?Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria

Il legame fra mafie e massoneria nasce lontano nel tempo, addirittura nelle carceri borboniche, quando i “fratelli” riuscirono a influenzare, con rituali, giuramenti di fedeltà e l’applicazione del rigoroso segreto, molti altri detenuti, successivamente divenuti fulcro delle tre associazioni chiamate camorra, cosa nostra e ‘ndrangheta, sviluppatesi nei rispettivi territori meridionali.

Molte sono le affinità che gli storici hanno riscontrato nel corso del tempo, anche rinvenute nel famoso codice Frieno del 1842, istitutivo della camorra.

Per la mafia calabrese, ad esempio, Piero Messina nel libro “Onorate società” ricorda che la costituzione di un “locale” dell’organizzazione avviene con una presenza di almeno 49 affiliati che, secondo l’autore, equivale a sette al quadrato, cioè un sigillo massonico.

Altra indicazione riguarda la presenza di sette ‘ndranghetisti che compongono il “circolo formato” di ogni affiliazione, sulla falsa riga dei sette maestri massoni per la consacrazione al rito di una loggia.

La prima organizzazione criminale a stabilire stretti collegamenti con logge massoni “deviate” è stata la ‘ndrangheta, dimostrando “particolare lungimiranza”.

La decisione di avviare tali contatti venne presa nel famoso vertice di Montalto, nel reggino, il 26 ottobre 1969, sotto la direzione del boss Peppe Zappia e alla presenza di circa 160 capi o rappresentanti dei “locali” di tutto il mondo.

La riunione, pur se interrotta dalle forze dell’ordine, pose le basi per il cambiamento della strategia dell’organizzazione.

Si ritiene, infatti, che in tale occasione venne discussa anche la costituzione della “Santa”, una struttura senza le regole della ‘ndrangheta, inizialmente aperta solo a 33 capi (come il massimo grado massone) muniti di apposita dote della società maggiore, divenuta nel tempo la vera forza dell’associazione criminale per via dei nuovi rapporti personali e riservati con politici, esponenti delle istituzioni, imprenditori e professionisti affiliati alle logge massoni disposte a farsi infiltrare.

Come segnalato dalla studiosa Anna Sergi nel libro “La Santa”, la nuova entità, creata prima di tutto nella provincia reggina, servì ad assicurarsi il controllo economico del territorio, ad aggiustare i processi, eliminare persone scomode e collocare nelle istituzioni persone di proprio gradimento.

In pratica, con l’assegnazione della dote della “Santa” (prima carica della Società Maggiore e vero punto di svolta per la creazione di una classe criminale dirigente), ad opera dei rappresentanti dei tre mandamenti dell’organizzazione (la “Copiata”), lo ‘ndranghetista entra in un mondo parallelo, in cui si accede ai rapporti con pezzi importanti della società (politica, massoneria, economia), i cui rappresentanti sono sicuramente «disponibili».Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria

L’esistenza di questa struttura è talmente importante da richiedere l’assoluta segretezza anche nei confronti degli associati alla medesima cosca criminale, soprattutto per evitare che eventuali future collaborazioni con la giustizia possano rivelare nomi e informazioni.

Negli anni successivi, alcuni magistrati inquirenti tentarono di scoperchiare tale calderone, come il Sostituto Procuratore di Locri Carlo Macrì o il Procuratore di Palmi Agostino Cordova, anche segnalando al Csm il coinvolgimento di giudici massoni, ma non riuscirono a ottenere risultati per le enormi difficoltà riscontrate.

Cordova riuscì a dimostrare i collegamenti con Licio Gelli nonché a convincere della bontà delle sue indagini il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia –Giuliano Di Bernardo- che, dopo opportuni accertamenti, dovette ammettere l’avvenuta infiltrazione mafiosa in ben 28 logge calabresi su 32.

Il fascicolo concernente l’inchiesta di Cordova, dopo il suo trasferimento a Napoli, venne poi trasmesso a Roma ed archiviato nel luglio 2000 dal Gip. Quanto accertato dai due magistrati citati è stato, poi, totalmente confermato dai recenti processi svolti a Reggio Calabria.

Un episodio estremamente significativo sui rapporti fra ‘ndrangheta e massoneria é stato raccontato, nel 2012, dal magistrato Franco Neri, ex Sostituto Procuratore di Palmi, chiamato a testimoniare da Cordova nel processo per diffamazione intentato da quest’ultimo ad Antonio Perfetti, Gran Maestro aggiunto del Grande Oriente d’Italia.

Come riportato nel libro “Onorate società” di Piero Messina, Neri segnalò che, nel 1992, giunto a Roma per eseguire la perquisizione nella sede del Grande Oriente d’Italia si vide aprire la porta da Giorgio De Stefano, fratello di Paolo, importante boss della ‘ndrangheta degli anni ‘70, protagonista della prima guerra interna all’organizzazione nonché creatore, unitamente al boss Piromalli, della «Santa».

In Sicilia, la mafia aveva già avuto, dopo la liberazione del 1943, contatti con la massoneria ufficiale; nelle relazioni inviate ai suoi superiori, il console generale Usa a Palermo – Alfred Travell Nester-, evidenziò gli assidui contatti fra politica, cosa nostra e massoneria per tentare di assicurare l’indipendenza dell’isola, ipotesi poi naufragata a favore dell’autonomia regionale.

Poi, sulla base dell’esperienza avviata in Calabria dall’organizzazione consorella, cosa nostra avvertì l’esigenza di seguirne le orme quando, alla fine degli anni Settanta, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie del 2017, la massoneria chiese formalmente di consentire l’affiliazione di rappresentanti dei clan alle varie logge (2 per ognuna).

Così, venne accettato un secondo giuramento, fermo restando la fedeltà alla organizzazione di appartenenza. Il divieto di doppia affiliazione fu cancellato su input del boss Stefano Bontate, componente del triumvirato di vertice, che costituì una personale loggia a Palermo, detta “dei Trecento” per il numero dei componenti, non iscritta a nessuna obbedienza ma frequentata da importanti personalità cittadine.

Il pentito Gaspare Mutolo, a tal proposito, in audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Luciano Violante, rivelò che molti importanti mafiosi erano entrati nella massoneria per cercare di interferire sulle indagini giudiziarie nonché per “aggiustare” processi attraverso contatti con i giudici massoni.

Nella Sicilia occidentale, i rapporti fra boss e massoni deviati nonché Licio Gelli vennero presto scoperti con l’individuazione di diverse logge a Palermo (la “Camea, oltre ai capi di cosa nostra, era frequentata dall’imprenditore Angelo Siino, Gran Maestro del 33° grado, poi divenuto famoso per aver inventato il famoso “tavolino” per la spartizione degli appalti pubblici nell’isola fra politici, mafiosi e imprenditori anche nazionali) e a Trapani, alcune occultate dietro il paravento di un centro culturale in contatto con Licio Gelli.Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria

Molti collaboratori di giustizia hanno, in seguito, rivelato importanti informazioni su tale connubio illecito:

  • Gioacchino Pennino raccontò di essere stato delegato da Bontate nel seguire il progetto calabrese, riguardante questa nuova ipotesi, per importarlo in Sicilia;

  • Antonino Giuffrè (libro “Potere massonico” di Ferruccio Pinotti) segnalò che anche la massoneria voleva fermare Giovanni Falcone perché con le sue inchieste andava a ledere rapporti professionali ed economici importanti;

  • Giovan Battista Ferrante (libro “Messina Denaro, Provenzano e i grandi latitanti” di Sara Amerio) testimoniò di aver assistito a una conversazione fra Matteo Messina Denaro e Totò Riina subito dopo la strage di via D’Amelio del luglio 1992, nel corso della quale il capo dei capi, a precisa domanda sui motivi che avevano determinato l’attentato, confidò che “i massoni vollero che si fici chisto”;

  • Salvatore Cancemi (libro “Onorate società” di Piero Messina) dichiarò che il commercialista palermitano Giuseppe Mandalari, gravitante nel mondo della massoneria deviata nonché considerato fondamentale per l’amministrazione di numerose aziende dei corleonesi di Riina e il riciclaggio del loro denaro, avrebbe dapprima tentato di corrompere i magistrati di Cassazione (portando seco 600 milioni di lire) per aggiustare il processo ai killer del Capitano Basile dei Carabinieri -ucciso a Monreale il 4 maggio 1980- e poi -sempre in Cassazione- anche quello del maxiprocesso a cosa nostra prima della sentenza definitiva del gennaio 1991;

  • Francesco Campanella, massone, vice Presidente del Consiglio comunale di Villabate (Palermo), in occasione del viaggio a Marsiglia del boss Bernardo Provenzano, nel 2003, per un’operazione alla prostata a causa di un tumore, confessò di avere procurato allo stesso una carta di identità falsificata intestata a Gaspare Troia.

Il 13 luglio 2023, il Procuratore Capo di Palermo – Maurizio De Lucia – in audizione alla Commissione Parlamentare antimafia ha fornito alcune considerazioni circa i rapporti fra mafia e massoneria nel territorio di competenza:
« ……. Oggi, secondo il nostro osservatorio, il meccanismo si è raffinato nel senso che il mafioso non dialoga più direttamente… entra nella loggia e nella loggia stabilisce le relazioni che gli servono: lo fa attraverso un soggetto, lui sì, intraneo alla loggia ……. Una delle forme di collaborazione del soggetto non mafioso è proprio quella di garantire l’accesso e la veicolazione dentro la loggia, che serve per tante cose utili all’organizzazione mafiosa……».

Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria
Lo stretto rapporto fra massoneria e ‘ndrangheeta viene confermato da un sequestro di armi, esplosivi droga e simboli massonici a Reggio Calabria

In Calabria, il boss Filippo Barreca, santista, nel 1992 decise di collaborare con i magistrati e rivelò che, all’inizio del 1979, era stata costituita una super loggia massonica occulta con personaggi siciliani e calabresi (parlamentari, un ministro, uomini dello Stato, boss mafiosi, professionisti), avente lo scopo di controllare le più importanti attività economiche della provincia di Reggio Calabria.

Barreca menzionò due politici calabresi inseriti nella struttura illegale -gli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo-, poi ritenuti dai magistrati di Reggio Calabria membri della componente riservata delle cosche o “Direttorio”, entrambi arrestati e condannati negli anni seguenti.

Dopo una prolungata e apparente indifferenza a tale pericoloso connubio, nel 2017, la Commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla Presidente Rosy Bindi, ha approfondito le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle logge coperte massoniche.

Addirittura, è stato possibile accertare come siano state ben 52 le logge calabresi sciolte per irregolarità e 190 nominativi, iscritti ad esse, coinvolti in reati di carattere mafioso.Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria

Nel processo Gotha di Reggio Calabria, come ricordato nel libro «Potere massonico» di Ferruccio Pinotti, il collaboratore Cosimo Virgiglio ha spiegato che la comunione di intenti permette alla componente massonica di controllare i flussi elettorali, garantendosi una presenza capillare nelle istituzioni.

Infatti, le cosche sono da sempre abili portatrici di voti, in grado di sfruttare il radicamento del territorio. In cambio, i clan ottengono il consolidamento dei capitali sporchi ricavati dalle svariate attività criminali perseguite, ricollocando il denaro sul mercato attraverso strumenti finanziari evoluti.

In una delle sentenze del suddetto processo con rito abbreviato, infatti, si parla di “‘varchi’ che i Santisti creano perché massoni deviati, fortemente politicizzati, entrino in contatto con capitali e investimenti, soldi sporchi, di ‘ndrangheta. Il fine ultimo sarebbe ovviamente la gestione dei flussi elettorali tramite, appunto, un sistema allargato di potere».

Il Gup di Reggio Calabria, Laganà, ha sostenuto che sia proprio la massoneria la base del legame biunivoco che lega le cosche agli esponenti politici locali.

Nella sentenza del processo Gotha si legge che «la massoneria ha costituito per la ‘ndrangheta un modello organizzativo perfettamente rispondente alle nuove istanze di segretezza interna e di elitarismo criminale».

In pratica, grazie alla nuova figura criminale della “Santa”, il mondo massonico è entrato nella ‘ndrangheta mediante soggetti «cerniera», cioè professionisti insospettabili in grado di curare queste relazioni senza essere direttamente individuabili.

I magistrati della DDA di Reggio Calabria, infatti, sono certi che vi sia un «Direttorio» nell’ambito del quale esponenti ‘ndranghetisti di vertice, boss di cosa nostra e importanti massoni, con l’ausilio di personaggi di spicco dei settori della politica e della finanza  (non è escluso anche dello Stato, come rivelato, in passato, da diversi pentiti di rilievo), siano in grado di influenzare decisioni di alto profilo economico e politico, assicurare protezione e scalate sociali, tutto finalizzato agli interessi dell’organizzazione criminale.

Nella sentenza di secondo grado (marzo 2023) sul recente processo «’ndrangheta stragista» istruito dalla Dda di Reggio Calabria, la Corte di Assise di Appello ha segnalato che non vi è dubbio alcuno sugli «accertati intrecci che negli anni si sono dipanati tra organizzazioni criminali e ambienti massonici e politici, in una evidente convergenza e commistione di interessi che mirava al comune intento di destabilizzare lo Stato e sostituire la vecchia classe dirigente che, agli occhi dei predetti, non aveva soddisfatto i loro «desiderata».

Secondo Ferruccio Pinotti (libro “Potere massonico”), la massoneria ha permesso alle cosche calabresi di evolversi, lanciando la scalata della ‘ndrangheta al vertice del crimine organizzato mondiale.

Da evidenziare, inoltre, che nella «Relazione sui rapporti fra la criminalità organizzata e Logge massoniche», datata 7 settembre 2022, della Commissione parlamentare antimafia presieduta da Nicola Morra, basata soprattutto sugli atti degli ultimi processi calabresi, è stato ribadito che:

– la “testa pensante” della ’ndrangheta  è “riservata, occulta, massonica o   invisibile”;

– accanto ai massimi esponenti della ‘ndrangheta “visibile” …“vi prendono  parte, quali associati ‘occulti’, soggetti qualificati provenienti da convergenti  contesti operativi ai quali sono delegati i compiti di curare, riservatamente, lo stabile collegamento funzionale tra la componente apicale ‘visibile’ della  organizzazione di tipo mafioso e le organizzazioni massoniche coperte, quali indispensabili interfacce con gli ambienti politici, istituzionali, imprenditoriali e  professionali”;

 – all’interno della ‘ndrangheta “è stato necessario creare ….una  ulteriore componente di livello strategico”, composta da “comitato ristretto” …. cui affidare in esclusiva il compito di applicare le regole speciali…. cioè “regole segrete che disciplinano le attività della ‘componente apicale riservata’ (da considerare l’evoluzione della ‘società di Santa’), interna alla ‘ndrangheta”;

le regole servono ad “impedire l’ingresso in apparati massonici ‘regolari’ agli appartenenti alla ‘ndrangheta ‘visibile’ e, viceversa, impedire l’ingresso nella ‘ndrangheta ‘visibile’  di componenti soggettive provenienti dalle organizzazioni massoniche  riconosciute”. Grazie a questo regolamento, l’ingresso nella struttura apicale riservata è consentito solo agli “appartenenti alla massoneria coperta”: “solo il  massone ‘coperto’ – ovvero colui che è sconosciuto come tale anche ai suoi  confratelli di loggia – è abilitato ad entrare nella predetta struttura occulta di vertice  della ‘ndrangheta, esattamente come solo l’appartenente alla ‘ndrangheta dotato  di gradi elevatissimi (‘sovradoti’) o investito di cariche speciali può fare ingresso  nella ‘massoneria coperta’”.

– il doppio regime di segretazione “è imposto al fine di preservare tanto la  componente massonica della ‘ndrangheta ‘invisibile’ (che, per i gradi più bassi, non esiste) che quella degli originari ‘santisti’, con l’evidente fine di creare una  falsa rappresentazione della realtà in cui i gradi inferiori sono portati a pensare che  i rapporti riservati dei grandi capi siano riferibili ad ambienti esterni  all’organizzazione criminale che, invece, trova nella direzione strategica ‘occulta’   (composta da ‘santisti’ e ‘massoni’) il suo più alto consesso decisionale”.
È il processo che “ha lo scopo di trasformare definitivamente la ’Ndrangheta da organizzazione per delinquere di tipo mafioso (operante su tipo territoriale) a principale agenzia criminale del pianeta.Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria

Gli studiosi e gli esperti settoriali ritengono che, attraverso la massoneria deviata, la ‘ndrangheta abbia cercato (quasi sempre riuscendovi) di espandersi nel Nord Italia, così come ipotizzato, negli anni ‘90, dal Procuratore di Palmi – Agostino Cordova-, scomparso pochi giorni fa.

Come può desumersi da quanto descritto, sono trascorsi oltre cinquant’anni dagli accertati collegamenti fra le principali mafie nostrane e la massoneria “deviata”; mezzo secolo in cui le organizzazioni citate, sfruttando collusioni ad ogni livello, hanno accresciuto la loro pericolosità ed esteso l’illecita influenza un po’ dappertutto.

Considerando le poche notizie circolanti sulla situazione menzionata, quasi esclusivamente circoscritte fra gli addetti ai lavori (magistratura, commissione parlamentare d’inchiesta, studiosi), ci si chiede come mai la grande informazione non abbia mai ritenuto, attesa la grande importanza dell’argomento, al di là di qualche generico articolo, di informare compiutamente l’opinione pubblica.

Lo scrittore Michele Pantaleone, nel luglio 1961, nelle conclusioni del libro “Mafia e politica. All’origine di cosa nostra” scriveva, fra l’altro, che “i mafiosi temono la stampa perché un’intensa campagna spinge l’opinione pubblica a reagire contro l’omertà e la prepotenza, impegna maggiormente i tutori dell’ordine, scuote e sollecita il potere esecutivo”.

La Commissione parlamentare d’inchiesta della XVII Legislatura segnalò, fra i fattori importanti nella lotta alle mafie, il cambiamento della percezione del mafioso nella pubblica opinione e i mezzi di comunicazione di massa, indispensabili per far cambiare la società attorno alle predette organizzazioni criminali.

D’altronde, non fu lo stesso Paolo Borsellino a dire “Parlate di mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”?

Orbene, ci si chiede perché, in questo Paese, al di là delle solite e ripetitive frasi di circostanza sull’argomento mafie, non sia possibile convogliare le forze su una costante ed efficace informazione su ciò che dibattimenti e sentenze giudiziarie portano alla luce, specialmente sui perversi intrecci fra massoneria “deviata” e boss.

Cui prodest tale sottovalutazione o silenzio?

Ritengo che non sia difficile, ad ogni attento lettore, farsi un’idea personale in proposito.    Focus sul perverso intreccio fra mafie e massoneria

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Antonio Borgia
Antonio Borgia
Generale in pensione della Guardia di Finanza, ha prestato servizio in Sicilia dal 1979 al 1996, nel pieno della guerra di mafia e delle stragi di cosa nostra. Ha collaborato con diversi magistrati a Trapani e Palermo quali Dino Petralia, Ottavio Sferlazza, Carlo Palermo ed i Pm della DDA di Palermo allora guidata dal Procuratore Giancarlo Caselli, in particolare Alfonso Sabella. Attualmente é editorialista della Gazzetta di Asti.
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