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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
La parola “intellettuale” non sempre ha goduto di fortuna e credito. Virgilio Titone, storico e umanista controcorrente, nella metà degli anni ’70, alla voce “Intellettuale” del suo “Dizionario delle idee comuni” così scriveva: “Colui che, dotato di una generica cultura, ma priva di ogni specifica competenza ed esperienza, crede di poter discutere di tutto sovrapponendo sulla realtà le sue esibizionistiche e arbitrarie formule generali specie nel campo della morale, della religione, dei rapporti sociali, della politica economica, dell’arte e delle attività artistiche”.
Anche Sciascia era insofferente nei confronti del narcisismo di certi “intellettuali” e diffidava di questo termine a volte abusato.
Ma dagli ultimi decenni del secolo scorso a oggi tante cose sono cambiate. A cominciare dall’avvento e dall’incidenza sempre crescente dei social. Attraverso i social tutti si sentono autorizzati a dire la propria e tanti, privi di cultura e intelligenza, ritengono che le proprie opinioni valgano quanto quelle di fior di cattedratici ed esperti. Ed ecco che la figura dell’intellettuale, intesa come quella di chi possiede un ricco bagaglio di conoscenze e l’attitudine al ragionamento, riprende quota.
A prenderne le difese è Sabino Cassese, illustre giurista ministro della Funzione pubblica nel governo Ciampi, che sul tema ha di recente dato alle stampe per i tipi del Mulino un breve e illuminante saggio intitolato proprio “Intellettuali”.
Chi sono gli intellettuali oggi, che ruolo esercitano e perché Cassese assurge a loro difensore? Gli intellettuali – ci spiega Cassese – sono i depositari di quel sapere che oggi non possono limitarsi a diffondere nelle università chiudendosi nella turris eburnea dei loro studi. Nell’era dell’”uno vale uno” – slogan nato in politica ma che, con l’imperversare dei social media, ha assunto una pregnanza che va al di là della politica – gli intellettuali hanno il dovere di far sentire la propria voce – meditata, pacata, equilibrata – e di farla prevalere su quella – alterata e scomposta – di chi è privo del sapere ma è convinto di potere dire la sua alla pari di un cattedratico o di un opinionista di un’affermata testata giornalistica. In tempi di dilagante populismo, il compito degli intellettuali non è privo di rilievo: si ergono a custodi della scienza contro le insidie di chi ne disconosce l’autorevolezza, a paladini del buon senso contro ogni specie di mistificazione.
Gli intellettuali di Cassese svolgono un ruolo funzionale alla collettività e all’essenza della democrazia, che si manifesta nel confronto di idee di chi matura le proprie posizioni elaborandole attraverso lo studio e le accorte riflessioni. Sono chiamati a operare al servizio del consorzio civile ma, a differenza di quelli “organici”, teorizzati da Gramsci, non sono strumentali a una parte politica o a una ideologia.
Il libro di Cassese è un manifesto alla libertà di pensiero considerata nella sua pienezza e non contraffatta dalle facili scorciatoie del qualunquismo. Ed è pure una lezione sul significato autentico della democrazia minacciata dai falsi idoli del populismo. E’ un saggio scritto da un intellettuale che non fa sfoggio della sua intelligenza: la esercita con la chiarezza e limpidezza che ne sono corollari.