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Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Adriana Piancastelli
E’ una testimonianza di profondo acume investigativo, di logica e lucidità professionale e di valenza sociale il saggio “Modelli criminali-mafie di ieri e di oggi” scritto a quattro mani dai magistrati Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino e presentato a Roma presso la Società Dante Alighieri.
Da tempo non esiste più una sola mafia che parla in siciliano: il modello criminale associativo è una manifestazione di cultura – nell’accezione del fenomeno subculturale – introiettato e metabolizzato non soltanto a livello di area geografica locale, ma operativo in ambito nazionale ed internazionale.
Le mafie di ieri e quelle dei nostri giorni appartengono ad una zona d’ombra che non può essere di interesse limitato alle forze che si occupano di indagini e di sicurezza: gli schemi comportamentali più o meno violenti, più o meno aggressivi, ne fanno un modello culturale ed esistenziale il cui zoccolo duro permea molte realtà che vivono e prosperano incuneate in un sistema indifferente, spesso rassegnato e tollerante.
La patologia sociale non può essere ridimensionata o, peggio, negata per logiche astratte di DNA.
Qualcuno – come ha ricordato con ironia amara Giuseppe Pignatone – ha sostenuto che nella Capitale ” la mafia non esiste” e “…la corruzione c’è sempre stata”.
E il modello criminale mafioso – declinato in “cosa nostra” o “‘ndrangheta” poco cambia – ha continuato a nutrirsi di legami di sangue e di famiglie, di opportunismi e di ricatti, di tolleranze e paternalismi politici e religiosi fino a diventare un palese stile di vita, persino esibito, ridondante e pacchiano nell’icona dei Casamonica.
Le forme mafiose sono arcipelaghi, isole diffuse formate da zolle dello stesso magma il cui legame psicologico è focalizzato nella presunzione della invincibilità saldata da indulgenze sociali, culturali
e religiose: indimenticabili i pizzini di Bernardo Provenzano con i continui richiami alla esecuzione della volontà divina.
L’approccio processuale Pignatone-Prestipino ha apportato intuizioni e realizzazioni nel coordinamento delle Forze dell’Ordine e di quanti – dietro le piccole monotonie quotidiane senza ribalta – hanno consentito l’apertura di confini più vasti agli standards criminali radicati in qualche regione .
Il “metodo Pignatone” è un percorso giuridico, culturale e sociale che ha consentito l’ampliamento di orizzonti geografici e antropologici fornendo la corretta definizione “mafiosa” ad una serie di azioni e di reati odiosi, ripetuti e stigmatizzati persino in espressioni ormai di uso gergale comune come “terra di mezzo”.
Il saggio si apre con un ringraziamento simbolico a “tutti quelli che hanno lavorato insieme a noi” e si chiude con un’affermazione solo apparentemente banale di Carminati, in cui gli Autori hanno mutato con forza la contestualizzazione temporale: dal mesto “…questa volta è stato più forte lo Stato…” del condannato, è nato il richiamo potente che chiude il libro “E’ stato, è sarà sempre, più forte lo Stato”.
Insieme agli Autori, hanno discusso Massimo Franco, Mario Monti e Andrea Riccardi. Ad ascoltarli, un pubblico competente, attento con molte presenze istituzionali ed i vertici delle Forze dell’Ordine, proprio come accade nella quotidianità del lavoro di chi vive l’antimafia come impegno vocazionale e professionale.